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nella difesa del vescovo Ursicino tanto direttamente, che suppli­cando gli eccellentissimi re, ai quali confida non riuscirà fasti­diosa tal preghiera: ut a suis illum amplius contra rationem remotum esse parochiis non permittant.

Abbiamo da questa lettera sicura notizia intorno ai travagli sopportali dal vescovo Ursicino: dapprima ebbe a patire sac­ cheggio e prigionia; poi alle parrocchie di sua giurisdizione, si­tuate nelle provincie de’ Franchi, e aggregate a novella diocesi, si prepose un altro vescovo. Finalmente al dolore già patito si aggiunse il dolore di spogliarlo delle cose che avea potuto radu­nare, appartenenti alla sua chiesa.

La prigionia del vescovo era a quella epoca cessata. Infatti il papa ne parla come di fatto trascorso. Essa non era imputabile ai Franchi, come appare dal tenor della lettera, e come si vedrà meglio in quella indirizzata ai re Teodeberto e Teoderico. Sola­mente i Franchi avendo nel 576, ai tempi del re Gontranno, aggregato al regno di Borgogna, per accordo coi duchi longo­ bardi o per conquista, le valli d’Aosta, di Susa e di Mali, ossia di Lanzo, e non amando che i loro popoli obbedissero al vescovo di Torino che era suddito lombardo, aveano contro al disposto dai sacri canoni staccato dalla diocesi di Torino le due ultime valli, e le aveano aggregate al vescovado nuovamente eretto, di Moriana, deputandovi per vescovo un sacerdote chiamato Felmasio. Costituita, sebbene illegalmente, con tal circoscrizione, la nuova diocesi, aveano probabilmente i Franchi rivendicato alla medesima, ed alle chiese di cui si componeva, i beni e i sacri arredi che fossero ancor tra le mani del vescovo Ursicino. Ed ecco il dolore aggiunto al dolore di cui si lagna il santo pontefice Gregorio Magno.

Ma dalla lettera che indirizzò per ottenere la riparazione di questa ingiustizia ai re Teodeberto e Teoderico, impariamo anche il pretesto che ebbero i Franchi a commetterla. Ed è che Ursicino non poteva nella sua propria sede esercitar l’ufficio vescovile,