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80 libro primo

regno Alaloaldo, per qualche mala bevanda datagli, come dicono, da Eusebio ambasciatore di Costanti­nopoli, fu privo del diritto lume della ragione; e la sua pazzia era la più pericolosa che potesse inco­gliere ad un sovrano, quella della crudeltà. Dopo qualche sperimento di palco e di mannaia fatto dal re in alcuni principali uomini di sua nazione, non per necessità di giustizia, ma per isfogo di quell’umor bestiale che il travagliava, i Longobardi, per esortazione dei vescovi cispadani, gli tolsero il regno e lo diedero nel 625 ad Arioaldo, duca di Torino, genero del re Agilulfo. Questi, sebbene ariano, fu principe discreto ed amante di giustizia; epperciò ricercalo di protezione dal vescovo di Tortona che piativa contro a Bertolfo abbate di Bobbio, rispose che a lui non s’apparteneva di giudicar le cause degli ecclesiastici, ricorressero al papa: egli defini­rebbe la controversia. Questo fatto è riferito dal monaco Giona, nato a Susa, autore della vita di S. Colombano e dell’abbate Bertolfo, il solo scrittore che conservasse lume di buone lettere fra la caligine longobarda.

Morto nel 636 il re Arioaldo senza prole, la re­gina Gondeberta ebbe la balla che aveva avuto la madre di dar la corona a quello che sceglierebbe a marito. La scelta cadde su Rotari duca di Brescia, ariano esso pure, ma non discreto, il quale, cupido d’esaltar la sua setta, in ogni città, contrappose al