al fine di queste storie ricordare che nelle loro successive invasioni i Longobardi erano arrivati nel vasto paese della Pannonia e del Norico, e che il loro re Alboino, dopo d’avere sconfitto ed ucciso Cunimondo, re dei Gepidi, quietamente possedendo quelle contrade, anche con approvazione e tolleranza del greco imperatore Giustino ii, non se ne contentò e, allettato dalla fama delle morbidezze italiane, deliberò al tutto d’impadronirsi di questo bel regno. Agevole era alle nazioni germaniche come ai nomadi del Caucaso e di Tartaria trasferirsi da un luogo all’altro. Poiché, come è noto, affatto militare ed a forma d’esercito era il loro ordinamento; un seguito più o men forte di clienti determinava la potenza dell’individuo, la patria non era nei piani o nei monti, ma nella universalità degli uomini d’una medesima razza. Spiantate le tende, messa in moto quella gran moltitudine colle donne, co’ vecchi, coi ragazzi, cogli infermi, niun rammarico aveano di ciò che lasciavano, ma solo cupidità di nuova e più lieta sede, e fermo proposito di non indietreggiare. Alboino e i suoi Longobardi erano così sicuri d’occupar l’Italia, che cedettero la Pannonia agli Unni. Vennero con Alboino anche i popoli vinti, o almeno quella parte di essi che s’era ridotta in servitù, Gepidi, Bulgari, Sarmati, Svevi, Pannonii e Norici. Vennero i Sassoni suoi antichi amici ed alleati. Onde v’era mescolanza d’ultima selvatichezza con civiltà