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capo settimo | 63 |
scampò neppur uno, mentre de’ Costantiniani un solo non fu perduto.2 Così conta Nazario; ma se non è da fidarsi de’ panegiristi mascherati sotto al nome di storici, molto meno converrà fidarsi de’ panegiristi che fanno aperta profession d’esser tali. Il fatto è che Costantino visibilmente protetto da Dio e munito del labaro miracoloso debellò e a Torino ed a Roma Massenzio, e rimase unico possessor dell’impero.
Nel 452 Attila, re degli Unni, era entrato in Italia, e già le sue bandiere sventolavano sul Ticino. I Torinesi attendeano a rinforzar le porte e le mura. S. Massimo, approvando quelle temporali difese, esortava il suo popolo a ricorrere all’armi più potenti della preghiera e del digiuno; proponea loro l’esempio di Ninive, che facendo penitenza de’ suoi peccati, fu salva, e lo esortava a non temere, e rialzava ne’ petti avviliti dal disastro d’Aquileja e dalla ferocia e crudeltà degli Unni quelli spiriti confidenti e generosi, che soli danno cuore di guardar in faccia al pericolo senza smarrirsi, e viltà chiamava e quasi parricidio l’abbandonar in quel frangente la patria. E tale è appunto l’ufficio di chi regge popoli, cercar d’avvivare negli animi tepidi e paurosi la carità della patria, fonte de’ sentimenti più sublimi; insegnar come i primi doveri ed i primi affetti a lei debbono consecrarsi; mostrare come sappia e come senta altamente chi sa morire difendendola: « Rimanete a