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capo settimo | 63 |
confini quali erano que’ dell’impero, ammessi i barbari a servir co’ Romani; prima semi barbari solamente, poi barbarissimi dal Caucaso, dalla Mongolia, selvaggi, schifosi; ma non più schifosi del lezzo immondo in cui s’immersero tanti Augusti sollevati al trono da’ pretoriani, fatti a pezzi dai pretoriani. Intanto i barbari ausiliarii, spettatori di quello sfacelo, lo guardavano con occhio ingordo aspettando come veri avoltoi il momento di sfamarsi entro la vasta putredine. Roma avea giù ricevuto nel moribondo petto le percosse d’Alarico e de’ suoi Visigoti nel 410; poi giunse Attila, flagello di Dio, cogli Unni nel 452. Ma furono corse e non invasioni. Invasioni furono quelle d’Odoacre con Eruli ed altre genti raccogliticce, che fermò sua sede a Ravenna, e spense fino al nome dell’impero romano nel 476; di Teodorico cogli Ostrogoti, mezzo barbaro, e che potrebbe, in qualche contrada d’Europa anche al giorno d’oggi passar per civile, nel 493; finalmente Alboino co’ suoi barbarissimi Longobardi nel 568.
Ne’ tempi della decadenza dell’impero pochi fatti rammenta la storia che propriamente s’appartengano alla nostra città, che partecipò più o meno alle miserie italiane di que’ secoli tenebrosi. A’tempi di Vitellio, un artefice accusato qual frodatore da un soldato Batavo, protetto da un decumano Britanno, di cui era ospite, mise a rumor la città. I soldati decumani ed i Batavi s’impegnarono in quella rissa