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anni che rimase sotto al dominio straniero. E molti Savoiardi e Piemontesi, alzati in quel vastissimo impero a più larga sfera d’azione, o militare, o civile, accrebbero la patria gloria. Torino, sede di corte principesca, fu abbellita del magnifico ponte del Po, fu risanala e fatta capace di futuri ingran­dimenti, coli’abbattersi delle fortificazioni.

Giorno di giubilo inebbriante, universale fu ai Torinesi il 21 maggio del 1814, quando rientrò fra le loro mura Vittorio Emmanuele che fin dal 1802 era, per la rinunzia del fratello, ascéso al trono. Il Piemonte ricuperava l’indipendenza e la dignità di nazione. Torino ridiveniva sede de’ suoi re. Troppa sarebbe stata la gioia, se con improvvido consiglio non si fossero abrogati ad un tratto gli ordini e le leggi, frutto d’un misurato progresso, dovuti all’alto senno di Napoleone e di que’ sommi di cui sapeva adoperare ed assimilarsi la mente; e non quelle sole che ripugnavano ai precetti della Chiesa, od ai bi­sogni della nazione.

Egli stesso, il buon re Vittorio Emmanuele, rav­veduto, e cinto di più prudenti ministri, adoperossi con ogni sforzo a medicar tal ferita; ed egregio me­dico avea scelto, il conte Prospero Balbo. Ma i di­sordini del 1821 ne rendettero sciaguratamente ino­peroso il valore, e solo in parte delle riforme già preparale trasse profitto il re Cario Felice.

Al re Carlo Alberto era riservata la gloria di