Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
480 | libro sesto, capo quinto |
alla porta dall’arcivescovo Vibò, nell’eccesso del sue contento lo abbraccia e lo bacia. Si canta con trasporti d’allegrezza l’inno Ambrosiano. Tutto gongola di gioia, la città è rinata.
La città di Torino, durante l’assedio, trasse seimila bombe, settantacinquemila colpi di cannone, più di settantamila colpi di petriere, senza parlar delle mine.
Segnalossi nelle opere di difesa l’ingegno mirabile dell’avvocato Antonio Bertola, che fu poi conte d’Exilles. Trecento donne vi lavorarono con gran cuore ne’ luoghi anche i più esposti all’infestamento delle palle nemiche. I poveri dello spedale della carità lavoravano nelle gallerie sotterranee, ne’ siti più pericolosi, spendendo volonterosi una vita sostenuta dalla pietà de’ loro concittadini. Infine tutti gli ordini della città mostrarono un coraggio ed un amor di patria proporzionati alla grandezza del pericolo.
Il bel tempio di Superga sorse, come memoria della gratitudine di Vittorio Amedeo ii, alla protezione celeste che avea assicurato il trionfo dell’armi sue.
A’ 2 d’ottobre rientrarono le reali duchesse. La regnante privatamente. La duchessa madre con gran pompa per porta Nuova ad un’ora di notte.
A’ 24 di dicembre spiegaronsi in S. Giovanni cinquantacinque stendardi tolti ai Francesi nella bat taglia di Torino; trenta di fanteria, venticinque di cavalleria.