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capo terzo 457

pericoli potrebbe correre la sua persona ove continuasse il cammino; in quali imbarazzi porrebbe il nipote e la cognata, pe’ quali nudriva tanto e sì sin­cero affetto.

Morì, un anno dopo il padre, il piccolo duca Fran­cesco Giacinto, e la corona passò al minor fratello Cario Emmanuele, la cui complessione non dimostravasi niente più salda; allora s’infervorò nelle sue depredatrici speranze il Richelieu; crebbe la villania e la prepotenza de’ suoi messaggi, e già s’an­davano spargendo scritture per mostrar che, man­cando Carlo Emmanuele ii, non ai patrui, ma alla sorella maggiore (chè si volea poi maritare al Del­fino) apparterrebbe la successione. Ed allora pur fu, che parendo strano assai al principe Maurizio che per obbedire agli interessi di Francia, si tenesser lontani, come in esiglio, glizii del duca, che soli avreb­bero potuto riparare in qualche modo al grave pub­blico danno, pigliate segretamente le porte, venne in Piemonte, e giunse fino a Chieri. Aveano due suoi aderenti, Masserati e Pasero, procurato che la cittadella di Torino, e la città di Carmagnola gli aprisser le porte. Ma fu scoperto il trattato. Onde tra per questo e tra per le minacciose amba­sciate della cognata, e i soldati mandatigli incontro, sotto sembiante d’onorario e difenderlo dalle insidie francesi, egli indietreggiò; ma punto nel più vivo dell’animo, s’acconciò ad un trattalo col Leganez

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