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38 | libro primo |
Giovane di venticinque anni, di gran cuore e di mente ancor più grande, Annibale meditava la conquista d’Italia e trovava simpatie fra i popoli Cisalpini recentemente debellati dall’aquila latina. Aderivangli i Boi, gli Insubri, i Cenomani. I Tavrini, che erano in guerra cogli Insubri, e che forse, meno mescolati coi Galli, conservavano maggior sentimento dell’antica civiltà ligure, e per ciò stesso apprezzavano meglio il benefìzio della civiltà romana, respinsero costantemente le sue proferte.
Dopo l’eccidio di Sagunto, Annibale, che i Romani credevano ancora sull’Ebro, giunge rapidamente, improvvisamente sulle rive del Rodano, simile anche in ciò ad un gran capitano de’ tempi moderni. Era la metà d’ottobre; e mentre Publio Cornelio Scipione l’aspetta lungo quel fiume, dovè crede debba deci dersi la somma delle cose, il Cartaginese leva il campo improvviso e si spinge verso le Alpi. Annibale giunge co’ suoi elefanti, colle sue genti avvezze al clima dell’Africa, colle fosche e seminude tribù del deserto appiè dei gioghi dirupati e nevosi il 31 d’ottobre dell’anno 218. Alle naturali difficoltà dei luoghi, cresciute ancora dai brevi giorni e dagli imbarazzi d’un esercito africano, s’aggiunge la perfidia o l’error delle guide,1 s’aggiungon l’armi e i sassi d’alcuni popoli alpini che gli contrastan l’an dare. Egli lascia per le rocce gelate, per le ruine de’ monti, pe’ burroni, per le selve melanconiose di