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capo secondo 445

la guerra, e il Piemonte era invaso da un esercito francese, a cui mal potean resistere le armi del duca, quando gli venne meno la vita in Savigliano addì 24 di luglio del 1630. E però Vittorio Amedeo i, suo figliuolo e successore, fu, per salvar lo Stato, costretto a segnare, nella pace di Cherasco del 1631, un articolo segreto per cui, acquistando Alba, e molte altre terre del Monferrato, dismetteva alla Francia Pinerolo e le sue valli; dimodoché non solo dava a quella minacciosa potenza novella sede in Italia, ma riduceva il suo Stato alla condizione di dover necessariamente servire di scorciatolo alla Francia, sia per mantenersi in comunicazione col Monferrato, sia per andar addosso agli Spagnuoli.

Intanto un flagello più grave (se pur ve n’ ha peg­giore di quello, di veder alterata la propria indipendenza), un grave flagello, in quell’anno medesimo 1630, disertava il Piemonte, la pestilenza. Già nel 1599 n’era stato corrotto il paese, e Torino ancor piangeva le perdite allora fatte.2 Nel 1630 con maggior ferocia imperversò. Uscita la corte, qua e colà sparsi gli uffici e i magistrati, contaronsi in città undicimila persone. In capo a pochi mesi, otto­mila eran morte. Mancati di vita, o fuggiti i sopra­stanti della sanità, tutte le cure del governo, del­ l’annona, della salute pubblica si ridussero nel sindaco della città Gian-Francesco Bellezia, nell’auditore di camera Gian-Antonio Beccaria, e nel protomedico