Pagina:Storia di torino v1 cibrario 1846.djvu/444

436 libro sesto

fe’ cercare a Roma ed altrove statue antiche, ed altre mirabili prove dell’arte, e così cominciò ad assuefare gli occhi de’ sudditi alle forme archetipe del bello.

In quella universal riforma dello Stato, non s’abo­livano, ma tacevano i privilegi de’ comuni, non tutti, ma quelli solamente che avrebber fatto contrasto all’interesse generale.

Verso la città di Torino dimostra vasi Emmanuele Filiberto, come tutti i suoi predecessori, molto pro­penso. Era essa ancora sotto al dominio francese nel 1559, quando spedivagli a Nizza ambasciadori, per congratularsi con sua altezza, per raccomandarsi a quella, e per chiederle confermazione de’ suoi pri­vilegi.

Il duca rescrivea benignamente, differendo la con­fermazione a miglior tempo, aspettando cioè d’es­sere reintegrato nel dominio della città, che, se­condo i patti, doveva ancora rimanere in man dei Francesi.2

Ma il 6 maggio 1564 il duca, rescrivendo sopra un memoriale a capi statogli rassegnato dalla città, concedeva che niuno fosse esente dagli alloggiamenti, circoscrivendo per altro questo grave carico in modo, che nè le guardie, nè gli ufficiali di corte commet­tessero abuso nel valersi di quel beneficio, che per le guardie e gli ufficiali di bassa condizione era gra­tuito, per gli altri no, dovendosi pagar la pigione,