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capo nono | 427 |
determinare come e qual moneta si spendesse, o in materia d’annona, affin di vietare o permettere l’estrazion del grano. Ma prima di farlo chiamava a sè i deputati dei comuni, e con loro e co’ dottori del suo consiglio consultava. Nel 1328 convennero i deputati dei comuni di tutta la patria, cioè di tutto il Piemonte a Pinerolo, e s’occuparono d’una legge suntuaria che non è a noi pervenuta. Ma nel 1391 volendo il principe vietar negli abili l’uso dell’oro, dell’argento, de’ vaj, e d’altri arnesi ed ornamenti di caro pregio, ed avendone scritto la sua intenzione al consiglio di Torino, il medesimo rispose deliberando « che ciascuno sia libero e franco di portar perle, oro, argento, ed altri ornamenti, siccome è usanza della città, uomini e donne, cittadini e abitanti ».
In fatto di monete gli abusi eran grandi; e dopo il reo esempio dato da Filippo il Bello, re di Francia, niuno si vergognava di coniar monete di valore molto inferiore al valor nominale, rubando con sì malvagia baratteria i popoli, e assassinando il commercio; e si vietava l’uso di monete straniere migliori spesso delle nazionali, e però più ricercate.
Nel 1527 Filippo d’Acaia chiedeva ai Torinesi qual provvisione fosse da farsi in fatto di monete. Risposero: per lo migliore consigliamo che non si faccia nulla.
In gennaio del 1580 Amedeo d’Acaia e il conte Verde vietarono si spendesse moneta straniera.