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capo nono | 423 |
consentire, se il principe comandava e il comune non poteva o non osava negare.
L’anno seguente finì la tutela del principe Amedeo d’Acaia. Il conte Verde lo accompagnò fino a Rivoli, e siccome le finanze del nuovo signore erano in cattivo stato, il Piemonte gli assegnò un dono di sessantamila fiorini buoni, de’ quali toccava a Torino la sesta parte. A’ 21 dicembre, non essendosi dai Torinesi pagato il primo termine, il principe di Acaia, che non amava andar per le lunghe, ordinava al vicario di porre in arresti il consiglio del comune finché avessero soddisfatto il loro debito. Molte altre volte adoperarono i principi d’Acaia e di Savoia simile argomento onde muovere a maggior vivezza il comune e ne) fortificar la città, e nel far esercito; più spesso nel riscuotere da’ cittadini, e recare alla cassa del principe il sussidio, che allora cominciò a chiamarsi tasso;2 ed una volta fu Ludovico d’Acaia tanto avventato e così poco misurato da tra scorrere ad adoperarlo in favore del proprio cuoco.3 Con maggiore ingiustizia il principe Giacomo aveva ordinato nel 1346 al vicario di Torino di domandare al prestatore di Torino trenta fiorini d’oro de’ quali avea sommo bisogno; ed in caso di rifiuto di serrarne e sigillarne il banco.
Ludovico, ultimo principe d’Acaia, nel tempo in cui la sua sanità notevolmente affievolita ne inaspriva il carattere, si dimostrò assai duro co’ Torinesi.