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416 | libro quinto |
comuni in una sola nazione, e volendo il comune l’osservanza de’ giurati suoi privilegi con cui intendeva a salvare la propria individualità, doveva esservi un perenne conflitto tra il comune ed il principe. Vi fu diffatto questo conflitto, e durò oltre a due secoli, finché a’ tempi d’Emmanuele Filiberto la monarchia feudale, mutatasi in assoluta; consolidato e assicurato il poter sovrano; moltiplicati, massime dopo l’introduzion degli stati, i punti di contatto e d’interesse coi vicini; avvezzati gli animi a considerare, allato agl’interessi comunali, i generali interessi; esteso il nome di patria ad ampii tratti di paese, si sostituì ai feudi ed ai comuni quella complessa e potente unità chiamata nazione.
Frattanto noi ricorderemo in breve alcuni dei conflitti che segnalarono questi periodi di transizione, ne’ quali conflitti non v’ha dubbio che la lettera e l’intenzione di quel contratto che regolava i rispettivi diritti erano molto spesso dal principe conculcati. Se non che alcuna volta violavasi una legge privata ed umana, per servire a quelle leggi eterne ed universali di morale e di giustizia, che Dio ha stampate nel cuor d’ogni uomo, e delle quali i sovrani debbono essere i primi vindici e custodi.
Non mi soffermerò a parlare delle cagioni di contrasto, cui dava luogo il citarsi, contra i privilegi, alcun Torinese innanzi al principe od al suo consiglio; il sostenersi in carcere quand’era pronto a