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402 libro quinto


Ma una instituzione di tanto pubblico vantaggio venne inceppata al suo nascere da molte contra­rietà. Eravi segreta ruggine tra i Torinesi e il prin­cipe, il quale procedeva, a dir vero, con non molto riguardo e con soverchia severità. V’ebbero diffi­coltà nel trovar casa adattata. V’ebbero sdegni cogli scolari, che, uniti in corpo numeroso, cui crescean baldanza la giovinezza e i privilegi clericali, in molte guise disturbavano la quiete pubblica e davan martello ai cittadini, non avvezzi a que’ tumulti. A’ 17 maggio del 1418 si diè a Solutore della Rovere un sussidio per addottorarsi. Ma frattanto lo studio di Torino, non sorretto dal pubblico favore, andava sca­dendo, e in quel mentre i Cheriesi, avveduti e sol­leciti; ne cominciavano un altro a Chiari, chiaman­dovi alcuni professori. Fino dal 1421 vi si leggeva, e molti de’ lettori torinesi si recavano a quello, seb­bene non s’operasse legalmente siffatta traslazione, fuorché per lettere patenti d’Amadeo viii del 13 di febbraio 1427. Richiamavasene vivamente la città di Torino tornata a migliori consigli; ma non ostanti i suoi richiami lo studio rimase varii anni a Chieri, dove fra i lettori di teologia annoveravasi Fran­cesco della Rovere savonese, e fra que’ di medicina il celebre Antonio Guainerio. Ma nell’anno 1434 incresceva già ai Cheriesi l’ospitalità conceduta allo studio, e però chiedevano venisse il medesimo tras­ferito in altra terra. Desiderarono i Saviglianesi di