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capo terzo | 33 |
E gli scrittori Romani invidiando ai vinti Etruschi la gloria postuma della sublime loro civiltà, non ebber parole che per accennarne le sconfitte, e tacquero d’ordinario que’ trionfi incruenti e tanto più illustri dell’intelletto. L’anno 388 prima dell’era volgare, i Romani ebber quistione co’ Galli. Trovavansi i Senoni all’assedio di Chiusi; i Romani li mandarono ricercando si ritraessero dall’offendere un popolo che era loro confederato. Ma gli ambasciadori, giovani bollenti ed oltracotati, si portarono con tanta alterigia ed imprudenza, che i Senoni, infuriando, lasciati i Chiusini, s’avviarono verso Roma, la distrussero, e si sarebbero impadroniti del Campidoglio, se il loro Brenno, avvertito d’una incursione di Veneti nel proprio Stato, non avesse giudicato di ritrarsi a’ suoi dominii. Ma cotale spavento rimase a Roma del gallico nome, che ne’ consigli di quella superba si mise in consulta se non fosse miglior partito di abbandonar la città e di fortificarsi a Vejo, novella loro conquista.
Diverse genti delle Gallie scesero ancora in varii tempi, o chiamate dai Galli Cisalpini, o per amor di preda e di ciel più clemente in Italia, e furono quasi sempre ricevuti quietamente dai loro nazionali giù mezzo italianizzati. Varie altre galliche genti spingevano le loro trionfali insegne in Ispagna, sul Baltico, nell’Ellesponto; non paghi d’aver turbato l’un centro di civiltà nell’Etruria, i Galli con un’altra