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capo quinto | 385 |
del duomo a due o tre battuti, che rendessero ogni anno un conto regolare al vescovo, a due canonici e a due chiavarii della città, affinchè i poveri ed i pellegrinivi trovassero miglior ospitalità, dichiarando che in caso contrario il Comune cercherebbe ogni via di pigliarne esso medesimo l’amministrazione.
A’ 6 di marzo del 1440, il comune rendè grazie al vescovo Ludovico di Romagnano del modo generoso con cui s’era governato circa agli spedali, e consentì che si riducessero a due, uno in città, l’altro fuori, sì veramente che ad esso comune ne fosse riservato il patronato e l’amministrazione.
Nel 1541, le lunghissime guerre, le frequenti pestilenze aveano cresciuto il numero de’ poveri, e scemato i proventi degli spedali. A tanta pubblica miseria venne in soccorso la pietà dell’arcivescovo Innocenzo Cibo e quella del comune. L’arcivescovo s’obbligò a periodiche limosino di danari e di derrate. Il comune consecrò a benefìzio dello spedale le rendite delle dodici confraternite di Torino, da esso amministrate: e seguendo sì laudevoli esempi, s’obbligarono altresì in determinale prestazioni l’abate di S. Solutore, il priore di S. Andrea, il preposito di S. Dalmazzo.
Lo spedale di S. Giovanni, nel quale già assai prima eransi incorporati lutti gli altri ospizii microscopici di Torino, fu poi amministrato da una deputazione di canonici e di decurioni, ossia consiglieri