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382 libro quinto

esortava la città ad ordinare che non si desse a fitto ad eretici casa o podere. Il comune aderiva, impe­rocché allora erano i ministri della pretesa riforma torbidi e fanatici, e mal frutto si raccoglieva dalla loro vicinanza.

In mezzo a queste liete ricordanze, ne abbiamo anche delle tristi, frutto della ignoranza, e d’uno zelo religioso scompagnato da carità, epperò non cristiano. Voglio accennare i roghi in cui a tempo a tempo, secondo l’errore universale, s’ardevano eretici. Fra gli altri trovo memoria al 5 settembre 1388 del sup­plizio d’alcuni gazari o valdesi condannati per ere­tica pravità.

Ma per buona sorte questi casi erano assai rari.

Chi dal numero degli spedali giudicasse della pub­blica beneficenza ne’ tempi di mezzo, fallirebbe per certo nel suo giudizio. Non meno di dodici ne an­noverava la città di Torino, sebbene gli abitanti non giungessero nel secolo xiv a cinquemila. E chiamavansi del duomo o di Sta Maria, della porta Su­sina, di S. Dalmazzo (frati di Sant’Antonio), di S. Bia­gio (de’ Crociferi fuor di porta Pusterla dove ora è la piccola casa della Provvidenza), degli Umiliati (nel sobborgo di S. Donato), della Maddalena (de’ canonici di Rivalla situata presso la chiesa di questo nome, al di là del ponte di pietra sulla Dora, e fondato dagli Arpini di Torino nell’anno 1196), di S. Giacomo di Stura (de’ Vallombrosani), di S. Severo (a mezzodì