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capo quinto 377

e due religiosi scrivessero tutte le feste da celebrarsi, con divieto di lavoro a qualunque persona a pena di tre soldi viennesi, dichiarandone per altro eccettuato l’adacquamento de’ prati.3

Nel mese d’agosto del 1402, predicava in Torino S. Vincenzo Ferrero. Il comune, lieto delle conver­sioni che operava quella potente ed inspirata parola, gli fe’ presente d’una carrata di vino, che tornò in elemosina a’ suoi Domenicani.

Nel 1446, predicava nella stessa città con mirabil fruito fra Giovanni Marchisio, dell’ordine degli ere­mitani di S. Agostino, e come spesso accade che un uomo solo innalzi o abbassi la fama d’un’intera congregazione, i Torinesi, innamorati di fra Giovanni, procurarono che a’ suoi frati si smettesse il convento di S. Solutore minore, già de’ Vallombrosani, ed allora per le guerre mezzo diroccato. Vennero gli eremitani, ed ebbero invece la chiesa e il convento di S. Cristo­foro degli Umiliati nel sobborgo di S. Donato a porta di Susa, donde si trasferirono in città, dopo la di­struzione de’ sobborghi dall’armi francesi nel 1536.

Un altro di quelli oratori che colla popolar elo­quenza muovono prodigiosamente gli umani affetti, venne in Torino nel 1458, ed è frate Giacomo dello stesso ordine Agostiniano. A sua richiesta il comune facea provvisioni centra l’immodesto vestir delle donne; contro la bestemmia, statuendo pena di cinque fiorini d’oro a chi bestemmiasse il nome d’Iddio o