Pagina:Storia di torino v1 cibrario 1846.djvu/360

350 libro quinto

fuori, fosse arrestato o per debiti d’un suo con­cittadino, o per debiti del comune, o per debiti del conte di Savoia, e del principe d’Acaia. Di modo che consideravasi come obbligato, non solo per qualunque de’ suoi comborghesi, ma anche pel si­gnore; il che era in verità un abuso, essendo il so­vrano affatto straniero al principio d’associazion comunale. Ma allora era diritto internazionale il si­stema delle rappresaglie. E quando, ad esempio, un borghese di Chieri aveva un credito verso un bor­ghese di Torino, siccome sapeva che in questa città la sua condizione di forestiere non gli permettea di sperare nè aiuto di consiglio legale, nè pronta giu­stizia, e che, in vigor dello statuto non potea far ces­sione del suo credito; ricorreva ai savi ed al consiglio della sua terra. Il consiglio scriveva al vicario ed ai savi di Torino, per farlo pagare; e se in certo termine non si effettuava il pagamento, concedeva al creditore lettere di rappresaglia, con certe con­dizioni che limitavano alquanto il violento arbitrio privalo, e per virtù di quelle il Cheriese pigliava di viva forza la persona e l’avere del primo Tori­nese che gli capitasse innanzi, e si pagava di sua mano, od otteneva in altro modo pagamento, o si­curtà di pagamento. Per questo medesimo principio di solidarietà il comune era mallevadore, in proprio, dei furti che si commettevano, e di cui non si scopriva l’autore. E perciò in aprile del 1329 rendette