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capo secondo | 349 |
Il comune era una gran compagnia, in cui v’era piena solidarietà fra tutti i soci. Un Torinese a cui per infortunio ardesse la casa veniva ristorato dal comune. Un cittadino a cui fosse recisa una vigna, guastato un campo, ucciso uno de’ suoi porci vaganti per la città, riceveva, se non si scopriva il colpevole, ammenda dal comune. Se un Torinese, viaggiando anche in lontane regioni, era offeso, danneggialo, carceralo da qualche principe, barone o comune, la città di Torino spediva ambasciatori a chieder ragione e riparazione dell’offesa e del danno; ed essendo negala o indugiata, concedeva facoltà al cittadino di vendicarsi e di ristorarsi di sua mano, imprigionando l’offensore o la sua famiglia, od i sudditi ed i concittadini del medesimo, e pigliandone l’avere. Il che si chiamava dar lettere di rappresaglia. Ancora quando qualche comune cresceva la gabella a pregiudicio de’ mercatanti di Torino, il consiglio dava lettere di rappresaglia, e trattava i mercatanti di quella terra com’erano nella medesima trattati i suoi cittadini. Perciò in ottobre del 1388, avendo que’ di Rivoli stabilito nuove gabelle, il comune di Torino ordinò l’arresto delle persone e delle merci de’ Rivolesi, fino al ragguaglio delle somme riscosse pel nuovo dazio, ovvero finché sene facesse ammenda e revoca; e intanto vietò il far mercato di qualunque specie con que’ di Rivoli, infliggendo loro per tal modo una specie d’interdetto commerciale.