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capo secondo | 345 |
ne’ beni che costituivano la dote delle chiese e de’ monasteri, non voleano che questa dote immune s’ampliasse. Perciò statuivano che, se alcun cittadino legasse o donasse a qualche chiesa o luogo religioso alcuno stabile, la chiesa od il luogo religioso dovessero rivenderla ad un cittadino laico in termine di un anno, e se la chiesa o il luogo religioso noi facesse, lo stabile fosse devoluto al conte di Savoia. Così lo statuto. Ma ne’ tempi dell’indipendenza doveva essere devoluto al comune, anzi allora, e se ne ha esempio del 1220, quando il comune alienava alcuna possessione, facea solenne divieto al compratore d’alienarla o d’obbligarla a chiesa, spedale o luogo religioso, come pure ad uomo d’altra giurisdizione.
Quest’ultima espressione risguardava appunto gli stranieri, ai quali lo statuto vietava di vendere, impegnare o dar in enfiteusi beni situati nel territorio di Torino, a pena ch’essi beni s’intendessero di pien dritto devoluti al comune, e fossero venduti in termine d’un mese dal massaio a prò e per conto del medesimo.
Ancora prescriveasi che niuno, che si fosse dedicato a qualche religione o spedale facendogli donazione de’ beni che possedeva, fosse franco dalle imposte, e dalle altre gravezze cittadinesche, fuorché vi risedesse e portasse l’abito religioso; ed anche in tal caso la religione non acquistasse se non i beni