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capo sesto | 311 |
di Monmegliano. Fu mandato un corpo di truppe per arrestarli al passo del Moncenisio. Ma giunse che i Francesi erano già calati a Susa. Il duca non area nè genti nè danari; uso a negoziare non a combattere, tardo nel risolvere, come potea resistere alla furia francese? Avvicinandosi l’esercito nemico a Torino, dove s’era appena cominciata qualche opera di fortificazione, il duca chiamati li sindaci della città, espose loro: « Ch’egli per non veder venire il danno che sogliono patire le città prese per forza, si volea partir da loro; che non parendo vi fosse modo da potersi difendere, si accomodassero alle necessità del tempo, senza pregiudicio di sue ragioni; e che, rendendosi il nemico padrone delle facoltà, essi gli riserbassero almeno il cuore ».
Lasciò Torino a’ 27 di marzo. All’indomani giunse alle porte un araldo minacciando ferro e fuoco se non si rendevano. Al primo d’aprile giunse l’esercito nemico ai sobborghi. I cittadini ne diedero avviso al duca che si trovava ancora in S. Germano, ed egli rescrisse: obbedissero alla necessità. Aprirono allora i Torinesi le porte, protestando che non intendevano con ciò di pregiudicar le ragioni del loro principe naturale, nè di pregiudicare la libertà ed i privilegi che aveano. I Francesi entrarono in città addì 2 d’aprile del 1536.
La città di Torino era stata nel 1515 rallegrata