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capo quinto 299

paese che facevasi solidario in quelle promesse: consideravano che un re potente poteva ravvisar in quella confermazion dei tre stati una specie di gua­rentigia reale, per cui intendesse poi, non eseguen­dosi i patti, d’aver azione sul paese stesso. Questi ed altri rumori serpeggiavano; ma il duca li quietò dando ai Torinesi e ad altri de’ suoi comuni una formale promessa, che il loro concorso alla lega colla Francia, non indurrebbe la menoma dipendenza del paese da quella corona.2

Il consiglio di giustizia del Piemonte, che al tempo de’ principi d’Acaia risedeva d’ordinario a Pinerolo, era poi stato trasferito a Torino. Da Torino, per suggestione di cortigiani, erasi trasportalo a Moncalieri. La città di Torino, già nobilitata dallo studio generale, desiderava di veder pure fra le sue mura una corte di giustizia, con suprema autorità di ter­minar ogni controversia, senza che vi fosse più luogo ad appello. Duemila fiorini d’oro offerì pertanto al duca nel 1449 perchè fissasse in Torino la residenza perpetua del consiglio; e tremila altri fiorini perchè lo investisse dell’autorità del prefetto pretorio. E così fu per lettere patenti del 15 di marzo di quel­l’anno. Soggiungeremo che a questo regno debole e ot­tenebralo da intestine discordie, s’aggiunsero molte calami là naturali, le pestilenze, le inondazioni, la fame.

Amedeo ix (il Beato), la cui egregia indole non s’accomodava agli umori ed alle tempeste della corte