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libro quarto, capo quinto | 295 |
che seppe insignorirsi dell’animo imbelle del marito in guisa, ch’essa sola regnava, la sua sola volontà era efficace, e al duca era un gioco ritrattar una promessa, e mutar pensiero, sol che la diva moglie il volesse. Felice ancora lo Stato, se, supplendo con giustizia e con vigore alla girevol mente del duca, Anna avesse voluto e saputo governare. Ma costei non amava che i suoi Cipriotti. Suo studio era il far denari e spedirli all’isola natia. E però avea discordie tra i proprii figliuoli, discordie tra i principali baroni, le miserie eran grandi, i rimedii pochi, o male apparecchiati, la giustizia scarsa.
Per buona sorte di queste contrade il maggior male era in Savoia, residenza della corte. Il Piemonte trovavasi più quieto.
Ludovico ebbe alla morte di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, nel 1447, una propizia occasione d’occupar quello Stato, i cui popoli, devoti alla gran fama di Amedeo viii, parteggiavano per Savoia. Ma le gravi spese sostenute pel papato di Felice v, e le prodigalità della duchessa, non consentirono l’impiego di que’ mezzi pronti e poderosi, che soli potevano assicurare il buon successo dell’impresa. Acquistò invece nel 1450 la signoria di Friburgo, e morì in gennaio del 1465. Degno di memoria per una legge, con cui nel 1445, ad imitazione di Francia, dichiarò inalienabili i beni demaniali; per avere, co’ riformatori generali mandati per tutto lo