Pagina:Storia di torino v1 cibrario 1846.djvu/283


libro quarto, capo terzo 275

i Testa, i Cagnazzi, i Grassi, i Marentini, i Crovesi, i Mantelli. Dir che cosa volessero politicamente que­ste due sette, quali fossero veri Guelfi, quali veri Ghibellini, sarebbe difficile. S’odiavano, e facendosi quel maggior male che poteano, turbavano la quiete e distruggevano quella poca felicità che a quei tempi avrebber potuto godere.

Giovanni Zucca, prevosto della cattedrale, era uno degli uomini più influenti del suo partito. Povero di virtù sacerdotali, abbondava di spiriti mondani, di voglie ambiziose, di turbolenti pensieri. Federigo di Saluzzo, d’accordo col marchese di Monferrato, conoscendolo per uomo acconcio a’ suoi fini, lo chiamò a sè, e guadagnatolo agevolmente colla promessa di un vescovado in Lombardia, si fe’ promettere che gli darebbe una porta della città. Lo Zucca, tornato a Torino, cercò e trovò aderenti tra i Sili, i Zucca, i Testa, i Biscotti e gli altri di sua parte. Enrieto Zucca, suo congiunto, quello fu che recava i mes­saggi del prevosto a Federigo e ne riportava le risposte. Il principe d’Acaia era all’assedio di S. Gior­gio in Canavese, e nelle sue schiere militavano anche le milizie de’ Torinesi. Doveva il prevosto levar rumore nella città e dar una porta ai Saluzzesi. Il principe a tal notizia accorrendo, sarebbe preso in mezzo da due corpi di truppe, e facilmente oppresso. Fallì quella macchina, perchè Filippo all’avvicinarsi delle genti nemiche levò l’assedio, primachè lo Zucca avesse