Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capo secondo | 267 |
fratelli a termini del testamento paterno, ed assegnò ai medesimi rendite in danaro, sufficienti a mante nere lo splendore del loro stato.
Amedeo v notificò, per sue lettere scritte nel gennaio seguente, il seguito accordo alla città di Torino, affinchè riconoscesse il principe Filippo per suo signore. Venne Filippo ai primi di febbraio; Ugo de la Rochette ed il vicario di Piemonte glie ne diedero il possesso. Vi dimorò qualche giorno con allegrezza del popolo, a cui sempre torna grato un giovane principe, cui fu maestra la sventura; se non che questa maestra nel render cauto il suo alunno, lo fa talvolta dissimulato e di sottil fede. Andò a Pinerolo, dove intendeva di fissare, come in luogo più centrale, la propria residenza, e quindi, seguitando il giro per tutto il suo dominio, raccolse quetamente gli omaggi de’ vassalli e de’ comuni. Erano intorno a diciotto le grosse terre che a lui obbedivano, e sedici all’incirca le casate d’illustri vassalli che gli doveano fedeltà ed omaggio; fra i quali i Romagnano, i Piossaschi, i Lucerna. Nell’anno 1200, famoso pel giubileo che aprì papa Bonifacio viii, ed a cui concorse mezza la cristianità, si recò pure a Roma Filippo, e vi sposò Isabella di Villehardouin, che gli portò in dote il principato d’Acaia. Ma di quel principato ebbe poco più che il titolo. Vi navigò egli invero di quell’anno medesimo ed ottenne il possesso di qualche terra. Ma in quell’impero, di cui due