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266 | libro quarto |
propria successione quell’ordine di rappresentazione all’infinito che non s’era osservato, nè quando Filippo succedette a Pietro, nè quando Amedeo v a Filippo.
Ma Tommaso iii avea lasciato dopo di sè amici potenti; e siccome non erano allora tra’ principi titoli politicamente vani i legami del sangue, mostravansi molto risoluti di voler sostenere le ragioni dei nipoti i conti di Borgogna.
Dalle loro rimostranze indotto, o dalla coscienza consigliato, Amedeo v, appena il primogenito di Tommaso fu fuor di tutela, rimise al giudizio d’arbitri la definizione di ogni quistione insorta o da insorgere con lui e co’ suoi fratelli. Arbitri furono Ludovico, di Savoia, sire di Vaud, Umberto di Luirieux e Pietro Simondi giurisperito. Sentenziarono essi il 10 dicembre 1294, nella chiesa di Sant’Antonio di Ciamberì: al principe Filippo appartenesse, in ragion di feudo movente dalla corona di Savoia, il paese al di qua dall’Alpi da Rivoli in giù, insieme con ogni ragione che potesse competere al conte di Savoia su Chieri e sul Canavese, sul castello di Montosolo occupato dai Cheriesi, e sulla terra di Sommariva del Bosco, tenuta dal marchese di Monferrato; eccettuati gli omaggi de’ marchesi di Saluzzo e di Monferrato. Accettato dalle parti tale arbitramento, approvato dai prelati e dai baroni, rinunziò Filippo in nome proprio e de’ fratelli ad ogni ragione che potesse avere sulla corona di Savoia; egli poi s’acconciò coi