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capo quinto 237

suo fratello e per propria industria i feudi de’ signori di Piossasco, la valle del Chisone, ed in breve tutto ciò che possedeva il conte di Savoia al di là del Sangone. Di ben maggior riguardo fu il dono con cui comprò Federigo la sua aderenza. Imperocché gli concedette la città di Torino col ponte del Po, e colla bastita o castelletto che sorgeva sul monte, ora chiamato dei Cappuccini; Cavoretto, Moncalieri col ponte e colle torri, Castelvecchio e Montosolo, e così una linea militare alla destra del Po, e il comando delle due strade per cui si faceva il principal traf­fico d’Asti e di’ Genova con oltremonti; ancora i castelli di Collegno e di Lanzo, cedendo di quest’ultimo il possesso e l’alto dominio, con promessa d’acquistarne la proprietà dalla consorteria di no­bili che lo tenea. Finalmente a questi doni aggiunse la cessione d’Ivrea e del Canavese. Ma si pattuì: Di tutte queste terre avrebbe Tommaso i proventi, non il possesso. Jacopo del Carretto, genero dell’imperatore, le terrebbe in deposito per dismetterle immediatamente al principe di Savoia, se pace se­guiva tra l’imperadore ed il papa; dismettere dopo tre anni Ivrea, il Canavese e Lanzo; dopo cinque anni il rimanente, quand’anche la pace non si fa­cesse.

Il vero fu che di questa liberalità imperiale Tom­maso ii, fatto vicario di Cesare dal Lambro in su, non gustò altro che il fumo. Torino si tenea pei