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232 | libro terzo |
a dissimulare ]’odio è la sete di vendetta, l’amor del comando e del danaro, piucchè l’affetto a questo od a quello stendardo. Quando le cose camminavan bene, che il podestà era forte, il comune componevasi d’uomini moderati, che non seguitavano nissuna parte, o che almeno agli interessi di parte preponeano l’utile della patria e l’onesto. Allora tra le due fazioni sorgeva potente e rispettato il comune, e nelle nuove aggregazioni di cittadini o di vassalli si facea loro divieto d’entrar nelle società che laceravano la patria. Ma quando una di queste fazioni sormontava l’altra, allora invadeva il consolato e i consigli e gli uffici tutti della repubblica, ed era gran ventura quando non procedeva più aspramente a taglieggiare, a bandire, a spogliare i principali della parte contraria, come accadde intorno al 1247 in questa stessa città di Torino, quando, prevalendo i Guelfi, dovettero i Ghibellini cercare scampo lungi dalle patrie mura.
Frattanto cresciute pe’ mali portamenti di Federigo ii e fattesi ognor più velenose le discordie tra questo principe e papa Gregorio ix, questi si risolvette di procedere rigorosamente, e però scomunicò l’imperatore e lo depose nell’anno medesimo 1239. Due anni dopo venne a morte; mancò pure di vita, diciotto giorni dappoiché fu eletto, Celestino iv; il sacro collegio raunatosi in Anagni, per essere Roma poco sicura, penò quasi due anni ad accordarsi in