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libro terzo, capo terzo 207

che vi passavano, essere improvvisamente dalla cam­pana suonante a stormo levato dal sonno o dal banco, e dover correre armato a schierarsi sotto la ban­diera del comune; esser talvolta costretto a sbarrar la strada, le porte della casa e le finestre, ed a battagliar da quella come da una fortezza, onde respinger l’assalto della setta contraria, e cansare il saccheggio, il fuoco o la morte; pagare al comune grossa taglia, non solo de’ beni stabili, ma anche del mobile e del valsente di bottega; pagarla ne’ tempi più duri anche doppia; esser inoltre tassato, se eri in voce di ricco, in grosse somme di prestito forzato; aringare ne’ consigli della repubblica contro ad un’opinione che trionfa, e vedersi comandare il silenzio a pena di grave ammenda; questa era ne’ buoni tempi la condizione d’un cittadino di que’ comuni; posciachè ne’ rei, quando più imperversavano le ire civili guelfe e ghibelline, che nel secolo appunto di cui ci facciamo a parlare, tanto guastarono la misera Italia, l’esser cacciato in esiglio, messo al bando, spogliato de’ beni, il vedersi diroccate le case, era un gioco solito della contraria fazione soperchiante; gioco contro al quale non avevi che il tristo ristoro di far genti e riconquistare con esterni aiuti la pa­tria, bandire, confiscare, diroccare alla tua volta le persone, i beni, le case di quelli che uno stesso giro di mura avea teco accolti al nascere, che teco eransi nodriti e cresciuti, che agli stessi altari prostravansi,