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204 | libro terzo, capo secondo |
Il vescovo ponesse nel castello di Testone un castellano gradito ai Testonesi; e, non potendo cader d’accordo, quello che sarebbe eletto dai podestà d’Asti e di Vercelli; e non potendo essi neppur convenire nella scelta, il vescovo deputasse persona non ingrata ai Testonesi e la meglio acconcia a mantener amistà tra quel popolo e lui;
Rimanessero salve ed intatte ai Testonesi tutte le buone usanze, le consuetudini e le possessioni che aveano quando il vescovo Milone entrò per la prima volta nel castello vecchio di Testona;
E fosse salvo al vescovo il diritto di chiamar in giudizio i Testonesi innanzi ai podestà od ai consoli d’Asti e di Vercelli pel castelletto dai Testonesi edificato; e se risultasse doversi per giustizia di struggere, fosse distrutto.
Ancora potessero i Testonesi levar una tassa al passo del castelvecchio di Testona, e nascendo quistione, si dovesse star al lodo dei podestà o consoli prementovati.
Finalmente ad un altro interesse, straniero alle parti, si provvide ad istanza de’ Cheriesi e de’ Testonesi, amici ed alleati del conte di Savoia Tommaso i; s’obbligarono, cioè il vescovo ed il comune di Torino, a render ragione al detto conte in regolare giudicio delle domande che proponeva centra di loro. Dal che sembra potersi attingere che d’ogni superiorità su Torino fossero i principi di Savoia stati prima di quel tempo spogliali. 7