Pagina:Storia di torino v1 cibrario 1846.djvu/200

numero di fanti e di cavalli, similmente in numero ed al tempo convenuto.

Più spesso ancora accadde che, prevalendo come più perfetta l’idea dell’ordinarsi a comune, ed es­sendone universale il desiderio, il principe, parte a prezzo d’oro, parte ancora per evitar moti popolari, o per sedarli se già eransi sollevati, largisse alle città e terre suddite il privilegio di reggersi a co­mune; e ciò con maggiore o minor larghezza, se­condo che si trattava di città nobili e popolate, e meglio ancora di città trafficanti e marittime in cui fu sempre più vivo l’amore ed il bisogno d’indipen­denza; o di picciole terre mediterranee.

La città di Torino si rimase libera da ogni sog­gezione principesca fin verso il 1130. A quel tempo Amedeo iii, conte di Savoia, bisnipote della contessa Adelaide e zio di Ludovico il giovane re di Fran­cia, se ne insignorì, e in diploma del 23 d’agosto 1131 pigliò il titolo, datogli anche dagli storici con­ temporanei, di conte Torinese. Questo principe ri­cevette sotto la sua protezione la badia di S. Solutore, confermò i doni fatti alla medesima da’ suoi prede­cessori in Giaveno, Col S. Giovanni, Coazze e Cunzano, rinunziò a tutte le usurpazioni che alcun suo visconte o gastaldo avesse fatto ne’ luoghi predetti e le vietò per l’avvenire.1

Pochi anni dopo cambiaronsi le sorti di Torino. Amedeo in essendo nemico a Lotario, che dal ducato