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capo settimo | 165 |
accolse con pronto ànimo quel consiglio, e diè mano ad eseguirlo. « C’illividiam pel dolore, egli grida nella carta di fondazione, al veder i luoghi de’ Santi martiri quasi distrutti fino al suolo.»
Rifece dunque la chiesa, edificò il monastero e lo dotò ampiamente, chiamandovi i Benedittini, a condizione che vi si apparecchiassero celle, in cui potessero convenientemente abitare i romiti che stavano sul monte Caprio, col consiglio e coll’aiuto de’ quali egli avea cominciato quel monastero. Fra i beni dati sono la corte, ossia il villaggio di Sangano, val Novellasca, Palazzolo e Calpice. Dona anche varii servi della famiglia di S. Giovanni, cioè delle famiglie affisse alla coltivazione de’ beni vescovili; soscrisse poi l’atto, e pregò i cardinali di soscriverlo, vale a dire i canonici incardinati al duomo Torinese: chè non altra è l’origine di quel vocabolo, il quale nelle chiese di Roma è divenuto cotanto illustre.
Landolfo che succedette a Gezone nel 1011 con fermò questi doni, e v’aggiunse la chiesa di S. Martino di Viù, coll’intero manso (podere), ini cui è edificata; la chiesa di Col S. Giovanni, colle villate circostanti di Bardassano, Niquidai, co’ monti e Colle valli, co’ prati, colle selve tra il torrente Sevena, il colle di Lidone ed il monte Caprio (Moncevrari).4
Nel 1031 poi Odelrico Manfredi e Berta sua moglie pigliarono la proiezione e difesa del monastero. Donarono al medesimo un orto fruttifero (braida) ed