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162 | libro secondo |
alle porte di Torino, favoreggiato poi da Manfredi: della quistione che questo marchese ebbe co’ cittadini nel 1031, e del giudizio che tenne a Torino nel 1034, Eriberto arcivescovo di Milano.
L’amore della vita solitaria e penitente spingeva dopo la metà del secolo x dalle tepide rive dell’Adriatico, dalla stanza imperiale di Ravenna, un sant’uomo chiamato Giovanni Vincenzo, sulle vette dell’Alpi nostre, cinte d’orride balze e di ruine. Pare che la sua prima stanza fosse sul monte Caprario, chiamato volgarmente Moncevrari, che s’alza a considerevole altezza tra val di Susa e val di Viù. Si trasferì poscia per celeste ammonimento all’opposta parte della valle di Susa, sull’alpe acuta del monte Pircheriano; e là edificata una cappella a S. Michele, e scavatasi lì presso una grotta nel vivo sasso, attendeva a servire a Dio in orazione ed in rigorosis sima penitenza. Quando Ugone lo Scucito convertì l’umile cappella in monastero, S. Giovanni ne lodò il Signore, e molto ne aiutò la fondazione. Ma vide che quei luogo più non si conveniva ad un romito, onde tornò ai dirupi del Moncevrari. Continuò quel monte anche dopo la morte del santo ad essere abitato da’ suoi discepoli, e nel principio del secolo seguente essi furono che consigliarono il vescovo Gezone a rialzare dalle rovine in cui giacea dopo le corse de’ Saracini, la chiesa in cui si veneravano le reliquie de’ santi martiri Tebei. Il buon vescovo