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libro secondo, capo quarto 133

Il fatto si è che fino alla metà del secolo x vediamo signoreggiare ampiamente ne’ paesi situati a sinistra del Po, Anscario, marchese, fratello del re Guido, ed i suoi discendenti, ed alla metà appunto del secolo, Berengario ii, uno di loro, salire al trono d’Italia.

Anscario, fratello di Guido, fu conte d’Ivrea, e portando titolo di marchese, ed essendo principe di gran potenza, possedette sicuramente altri comitati, e probabilmente quello di Torino, del quale nel 906 era senza alcun dubbio conte il marchese Adalberto suo figliuolo, che signoreggiava altresì i comitati di Ivrea e di Lumello.

A quei tempi i Mori di Spagna, annidatisi poco prima in Frassineto, sulla riviera di Nizza, spingevansi nelle loro corse depredatrici e sanguinose lungo i due lati della giogaia alpina.

I monaci della Novalesa erano allora molto ricchi e di possessioni temporali, e di preziosi metalli, e di codici, che, secondo il laudato costume de’ Benedittini, attendevano probabilmente a copiare, e di chiese dipendenti, e di servi e censuali. Sentendo approssimarsi quella tempesta de’ Saracini, l’abate Donniverto s’impaurì, e lasciata quell’alpestre resi­denza, venne co’ suoi monaci, col tesoro e con tutta la suppellettile del monastero a Torino, dove pigliò stanza presso alla chiesa de’santi Andrea e Clemente, situata innanzi al castello della porta Segusina. Due soli monaci, già ben avanti negli anni, rimasero a