Pagina:Storia di torino v1 cibrario 1846.djvu/118

110 libro secondo


Vediamo ora come procedesse il giudicio. Com­parvero nel placito, di cui abbiam parlato, dicias­ sette uomini d’Oulx richiamandosi della parte di S. Pietro della badia di Novalesa, dove pareva che fosse abate Elderardo. Questa parola, la parte di cui anche oggi si valgono a designar le persone di chi contende in giudicio, era solenne allora non solo ne’ piati, ma fin ne’ contratti, ne’ quali Lucio non vendeva per esempio a Sempronio, ma la parte di Lucio a quella di Sempronio. Le altre parole, dove pareva che fosse abate Elderardo, nascevano dal gran numero di prelati intrusi, o eletti per simonia, e però non veri vescovi ed abati; perlocchè la ti­morata coscienza de’ notai non affermava che fosser tali, ma si contentava di dire: sembra che sia vescovo od abate.

Richiamavansi dunque gli uomini d’Oulx del mo­nastèro della Novalesa, perchè li avesse pignorati, cioè posti in arresto, e volesse ridurli in servitù. Allora il messo imperiale fece comparire Ghiselberto di Feletto, avvocato del monastero; e siccome questi all’improvviso non sapea cosa rispondere, il conte Bosone obbligò le parti di darsi scambievole cau­zione di presentarsi di nuovo al placito del conte Ratberto, ordinò a Ghiselberto di porsi in grado di rispondere, ammonì il conte Ratberto di far diligente inquisizione, e di giudicar secondo la giustizia e le leggi.