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108 | libro secondo |
consisteva nel poco mobile che potean portare; ma la loro vera ricchezza, come la loro forza, stava nel numero de’ dipendenti, nella clientela di compagni coraggiosi e devoti, pronti a seguitarne la fortuna, a combatter con loro e per loro. Quando, occupata chi una parte, chi l’altra dell’impero Romano, queste genti s’avvezzarono ad aver sedi ferme, a posseder case e beni, ad abitar città e villaggi, quando le loro instituzioni, prima tutte personali e militari, si territorializzarono, per dirlo con una parola barbara al par di loro; i capi, divenuti re, dispensarono a questi loro fedeli parte delle possessioni de’ vinti; ma non con ragione perpetua, nè in proprietà as soluta, ma in usufrutto, e con obblighi di riconoscimento e condizioni di riversibilità; ed in processo di tempo ad altri benemeriti della loro corona, as segnarono uguali ricompense. Ecco i vassi imperiali.
Similmente i vescovi, i governatori delle province ed altri grandi del regno, con titolo di duchi, o di conti, i quali possedevano o in allodio, o in beneficio maggior quantità di beni che non poteano coltivare, per crearsi aderenti e soggetti riconsegnavano ai loro divoti parte dei proprii poderi in beneficio, ed ecco i vassi de’ vescovi e de’ conti, i quali tutti, come ne formavano la difesa in guerra, così loro facean seguito e corte in pace. Ecco la ragione de’ vassi, e il perchè comparivano ne’ giudizii.
Gli scabini all’incontro rappresentavano nelle tribù