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92 capo ottavo

essendo la sua chiesa occupata dai nemici: nec quod ad tempus ab hostibus eius ecclesia detinetur, debet illi aliquid officere; sed hoc ad subveniendum christianitatis vestrae magis magisque debet animos permovere ut largitatis vestrae munere consolatus captivitatis quam pertulit, non possit damna sentire.1

Era dunque finita la cattività di Ursicino, ma non eragli ancora stata restituita dai nemici l’amministrazione della diocesi. — E quali erano questi nemici? — niun dubbio che fossero i Longo­bardi, i quali e sotto Alboino e sotto Clefi rivolsero particolarmente la loro rabbia contra le chiese e contra i sacerdoti. È noto qual ter­rore ispirassero al clero, quale ai sommi pontefici; e può vedersi nelle lettere dello stesso S. Gregorio quali sentimenti ei nodrisse verso quella nazione in gran parte Ariana, in parte ancora idolatra. Crebbe il disordine dopo la morte di Clefi (574) e durante il decen­nale interregno, i trentasei duchi occupati perpetuamente a dila­tare le loro conquiste e a far bottino, non alleviarono certamente il giogo ai poveri sudditi, e massime agli ecclesiastici; finche nel 584, eletto re Autari, si rassettarono alquanto le cose, senzachè per altro rilucessero ancora al clero cattolico giorni sereni, poiché Ariano era Autari, ed Ariano era pure Agilulfo duca di Torino, che gli succedette nel 589; ed Ariano ancora Arioaldo che suc­cedette ad Agilulfo nel ducato di Torino, e più tardi al figliuolo d’Agilulfo nel regno. Ora è certo che o nell’impeto della prima conquista, o posteriormente alcuno dei duchi ariani ha occupato i beni della chiesa torinese, imprigionato il vescovo, e forse de­putatovi alcun vescovo ariano. Per isfuggire simile disgrazia, Onorato, vescovo di Milano, avea trasferito, al primo irrompere dei Longobardi, la cattedra di Sant’Ambrogio a Genova, città non occupata dall’armi loro, e colà visse e morì. Colà pur visse e morì Costanzo suo successore; e solo nell’anno 603, quando la regina Teodolinda persuase il marito Agilulfo a far battezzare, secondo

  1. Epistola CXVI.