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e ricoveratosi presso di un buon prete, aspettava di ascoltar per le vie della città gli applausi per l’ottenuta libertà, ed impaziente attendeva il momento per mostrarsi come liberatore della patria. Ma udendo invece gli urli e lo schiamazzo della plebe, che ignominiosamente strascinava per le strade il cadavere del Lampugnano, s’avvide troppo tardi dell’error suo, perdè ogni lusinga, e venne imprigionato. Dal processo che se gli fece, si seppe la trama. Non mi è noto qual fosse il fine di Cola Montano. L’Olgiato morì nelle mani del carnefice con sommo coraggio. Il ferro che colui adoperava, era poco tagliente; ma egli animò il carnefice, e lo s’intese pronunziare queste parole: stabit vetus memoria facti. Bruto, Cromwel, Olgiato hanno fatto a un dipresso la stessa azione. Il primo viene spacciato per un modello di virtù gentilesca: il secondo ha la celebrità di un atroce ambizioso: il terzo non ha nome nella storia. Le circostanze decidono della fama, singolarmente nelle azioni violente, le quali si biasimano, ovvero si lodano a misura del male, o del bene che produssero poi. Il Corio, che ci lasciò descritto il fatto, era testimonio di veduta; e come cameriere ducale, era nel seguito del suo sovrano, quando venne ucciso. Ei ci racconta i vizi del duca, anzi i suoi delitti. Galeazzo interpellò un povero prete che faceva l’astrologo, per sapere quanto tempo avrebbe regnato. Il prete diegli in riscontro ch’ei non sarebbe giunto all’anno undecimo. Galeazzo lo condannò a morir di fame. Egli per gelosia fece tagliar le mani a Pietro da Castello, calunniandolo come falsificatore di lettere. Egli fece inchiodare vivo entro di una cassa Pietro Drego, che così venne seppellito. Egli scherzava con un giovine veronese, suo favorito, e lo scherzo giunse a