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ad amare la vigorosa virtù, a cercar fama con fatti preclari. Poichè co’ discorsi e cogli esempi della virtù romana ebbe trasfuso il fanatismo nelle vene bollenti degli scolari, egli coglieva l’occasione che il duca colla pompa accostumata passasse davanti la scuola; e trascegliendo i più ardenti ed audaci, mostrava loro un Tarquinio nel duca, ed una mandra di schiavi, buffoni effeminati ne’ suoi magnifici cortigiani, veri sostegni della tirannia e pubblici nemici. Confrontavali co’ Cartaginesi, co’ Greci, co’ Metelli, co’ Scipioni romani. Giunti al grado del fervore al quale cercò di ridurli, collocò alcuni di essi al mestiere delle armi sotto Bartolomeo Coleoni, acciocchè imparassero a conoscere i pericoli, ad affrontarli, a ravvisare le proprie loro forze. Condotta la trama al suo termine, finalmente furono trascelti quei che egli giudicò più adattati; e furono appunto Giovanni Andrea Lampugnano, Girolamo Olgiato e Carlo Visconti. Si pensò con un colpo ardito di liberare la patria, mostrando quando sarebbe facile l’impresa, purchè i cittadini si ricordassero soltanto d’essere uomini. Avanti la statua di sant’Ambrogio venne congiurata la morte del tiranno Galeazzo Maria, usurpatore del trono, oppressore della libertà che pur godevasi ventisei anni prima, nimico della patria, impoverita colle enormi gabelle ed insultata col lusso di un principe malvagio. Così formossi segretamente la trama, che scoppiò prima che alcuno ne sospettasse. Giovanni Andrea Lampugnano, appena fatto il colpo, cadde poco lontano dal duca, ucciso da un domestico ducale. Girolamo Olgiato, che aveva ventitre anni, si sottrasse col favore della confusione,