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sappiamo che la nebbia impenetrabile entro cui sta celato il nostro avvenire, è un benefizio della Divinità; e sappiamo per lei che la sommissione rispettosa ai decreti della provvidenza è il più saggio ed utile sentimento dell’uomo.

La vigilia di Natale, verso sera, il duca, secondo l’usanza, scese nella gran sala inferiore del castello, dove stava d’alloggio; ed a suono di trombe e con istupendissimo apparato vi scese colla duchessa Bona e co’ suoi figli. I due fratelli del duca, Filippo ed Ottaviano, portarono il così detto zocco, e lo collocarono sul fuoco. Gli altri tre fratelli del duca erano assenti. Ascanio, in Roma; e Lodovico e Sforza, duca di Bari, erano rilegati da Galeazzo nella Francia. Così si soleva in que’ tempi radunare la famiglia al Natale. Il giorno vegnente poi nuovamente radunossi con varii cortigiani, e il duca in circolo parlò della casa Sforza; e noverando i fratelli suoi, i cugini, i figli in numero di dieciotto, tutti di età fresca, osservò che per secoli non sarebbe finita. Pranzò in pubblico. Il giorno poi di santo Stefano dal castello s’incamminò a cavallo con tutto il corteggio per ascoltare la messa nella chiesa collegiata di detto santo, ove giunto, da tre nobili giovani venne con più pugnalate ucciso al momento. I congiurati furono Giovanni Andrea Lampugnano, Girolamo Olgiato e Carlo Visconti. I due primi erano cortigiani del duca. Giovanni Andrea finse di voler far largo al duca; ed avventandosegli pel primo, lo ferì nel ventre, e gl’immerse nuovamente il coltello nella gola. Frattanto Girolamo lo trafisse alla mammella sinistra, poi nella gola, indi nelle tempie. Carlo, nel tempo stesso, nella schiena, e nella spalla lo colpì con due ferite, pure mortali. Il duca appena potè esclamare: oh nostra donna! e cadde all’istante