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di ciascun d’essi a pro del conte di Pavia, Galeazzo, suo primogenito. Poichè ebbe così adempiuti con magnanimità i doveri di sovrana e di madre, si pose ad eseguire quei di moglie, secondo l’usanza di que’ tempi. Il cadavere del duca nel palazzo ducale si espose; e la vedova mai non si dipartì dal suo fianco, dando segni, come dice il Corio, d’incredibile amore. Il terzo giorno poi, ornato con tutte le insegne ducali, e cinto di quella spada la quale fortissimamente in tutte le victorie aveva usato, venne con magnifica pompa tumulato in Duomo.
Mentre l’imperatore Federico III venne di qua dall’Alpi, e si fece incoronare in Roma dal papa, egli non toccò nemmeno le terre soggette allo Sforza; non volendo pregiudicare alle ragioni dell’Impero col riconoscere per legittimo sovrano e duca l’usurpatore d’un feudo imperiale, ch’ei non aveva forze per difendere. Era questo un oggetto importante assai per la dominazione della casa sforzesca, di cui era mancato il sostegno e lo splendore. Galeazzo Maria, in marzo del 1466, allorchè morì suo padre, era, siccome già dissi, nella Francia, comandando nel Delfinato l’armata che il duca aveva allestita in soccorso del re contro la Lega. Appena ricevè l’avviso che spedìgli la madre Bianca Maria, del cambiamento accaduto nella famiglia, confidò tosto il comando a Giovanni Scipione; e, travestitosi come un famigliare di Antonio da Piacenza mercatante, s’incamminò per la Savoia alla vòlta di Milano. Il giovane Galeazzo aveva ventidue anni; temeva le insidie del duca di Savoia, il quale sulla dominazione della casa Sforza pensava di ampliare il suo Stato.