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rimaner liberi e non ubbidire a verun principe. Altri, conoscendo l’impossibilità di formare una repubblica in mezzo a tanti e sì appassionati partiti, in una città nella quale le voci di patria e di ben pubblico non bastavano ad ammorzate le private mire, volevano un principe. Tutti però concordemente ricusavano i Veneziani. Si proponeva dagli uni il papa; da altri il re Alfonso; altri suggeriva il duca di Savoia; Gasparo da Vimercato propose il conte Francesco Sforza. Egli nel suo discorso fece vedere che la fame minacciava a giorni la morte; che nè il papa nè il re Alfonso nè il duca di Savoia avevano mezzi per salvarci al momento, come chiedeva l’urgente necessità; che non rimaneva altro partito da scegliere che o i Veneziani o il conte. Sudditi de’ Veneziani, non potevamo aspettarci se non che il destino d’una città secondaria e provinciale, sotto una dominazione che avrebbe temuta la nostra prosperità. Sotto del conte, valoroso, umano, benefico, nostro concittadino per la moglie, non dovevamo aspettarci un signore, ma un padre saggio, provvido, amoroso, da cui si sarebbe posto rimedio a’ nostri mali. (1450) Il partito per il conte prevalse per acclamazione, e si spedì tosto ad avvisarlo. Due