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lui fama, e un contraposto sempre più glorioso pel conte Francesco.

Giorgio Lampugnano e Teodoro Bosso, grandi fautori dapprincipio per la libertà, s’erano cambiati ed erano diventati fautori del conte Sforza, o fosse ciò accaduto perchè l’esperienza gli avesse convinti della impossibilità di adattare stabilmente alla nazione degradata un politico sistema, o fosse che la fortuna militare e le virtù grandi del conte, e le speranze sotto la sovranità di lui avessero mutate le loro opinioni. Carlo Gonzaga, che, sotto nome di capitano della repubblica, era animato dalla probabile ambizione di cingere la corona ducale di Milano, considerava i due primari partigiani dello Sforza come i primi nemici da spegnere. Intercettaronsi delle lettere in cifra, che Lampugnano e Bosso scrivevano al conte Francesco; s’interpretarono; si connobbe la trama di aprirgli le porte della città, e si destinò di consegnarli come ribelli al supplizio. La difficultà consisteva nel trovare il modo per riuscirvi; poichè i magistrati non avevano forze tali da contenere questi nobili, e si ricorse alla insidia. Si elessero il Lampugnano e il Bosso come oratori di Milano all’imperatore, per implorare il suo aiuto nelle angustie nelle quali la città era posta. Essi cercavano di procrastinare la partenza per essere mal sicure le strade; ma Carlo Gonzaga seppe sì bene fingere, che, apprestata loro una buona scorta d’armati, vennero indotti a portarsi a Como, dove assicurògli che sarebbesi sborsata loro una conveniente somma di danaro per inoltrarsi nella Germania e fare la commissione. Adescati così, caddero nell’insidia. Usciti appena dalla città, furono costretti dai soldati del Gonzaga a passare a Monza, ove Giorgio Lampugnano venne subito decapitato,