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ricevere di mano del pontefice la corona imperiale. Verso la metà d’agosto navigò egli da Barcellona a Genova con mille cavalli e novemila fanti, condotti seco per mare su ventotto galee, sessanta barche e molti altri navigli. Il papa spedì colà tre cardinali legati, Alessandro Farnese, che poi fu suo successore nel papato, Francesco Quignone, spagnuolo, e Ippolito Medici. Cesare, pochi giorni dopo, passò a Piacenza. Antonio de Leyva vi fu ben accolto dal suo sovrano, nè gli fu difficile di ottenere l’assenso di riprender Pavia; cosa che gli premeva assaissimo per suo privato interesse. Ritornato in seguito il Leyva al governo del Milanese, guidò le sue genti alla conquista di Pavia, che presto riebbe e senza sangue, atteso che Annibale Picenardo, comandante di quella città, disperando di poterla difendere dall’aggressione de’ Cesariani, la cedette loro senza grande resistenza937.

Prima di conchiudere questo capitolo giova di riferire il seguente fatto, narrato dal Grumello938, e che potrebbe servire di argomento per una tragedia. Un mercante, nativo di Casale Monferrato, chiamato Scapardone, da povero diventò padrone di più di centomila scudi. Allora lo scudo era mezza doppia, e anche da ciò si vede qual messe si raccoglieva allora nel commercio. Morì questo ricco mercante, lasciando un’unica sua figlia erede. Questa era una giovine molto bella e ancora più gentile, graziosa e amabile. Fu maritata in Milano al signor Ermes Visconti, nobilissimo e ricchissimo, che la lasciò giovine e vedova senza successione. Sposò poi un Savoiardo, monsieur di Celan, uomo degno e benestante; ed essa, dopo qualche tempo, fuggì dal marito e portò seco gioie e denari. Si recò a Pavia e abitò in casa d’Ascanio Lonate, suo parente, ed era in Pavia corteggiata da ogni ceto di persone. Passò indi a Milano. Il signor di Massino, che era venuto dalla Spagna col duca di Borbone, amava madama di Celan; il conte di Gaiazzo era pure nel novero dei suoi adoratori, e quest’ultimo era preferito; per lo che sdegnato, il Massino la abbandonò, nè si conteneva di sparlare di lei. Ella, di ciò informata, determinò di vendicarsi colla di lui morte, e animò il Gaiazzo a meritarsi sempre più l’amor suo coll’eseguirla. L’amante non si oppose, temporeggiò, lasciava sperare, ma non volle eseguire il delitto. La Celan, doppiamente sdegnata, cercò di mettere la bellezza a prezzo di un omicidio, e don Pedro de Cardona, figlio del conte di Collisan, giovine valente, accettò il crudel partito e uccise Massino. Il duca di Borbone volle che non rimanesse impunito l’atroce fatto. Madama di Celan fu imprigionata nel castello, regolamente processata e conosciuta rea; una sera il capitano di giustizia andò in Castello con un sacerdote e due monache, le annunziò la morte; essa chiese se con denari si potesse salvarla, e le fu risposto che tutto l’oro del mondo non lo poteva. Le fu troncata la testa sul rivellino del castello, indi nella chiesa di San Francesco stette esposta, e pareva che fosse viva. Svegliò molta compassione.