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marchese di Saluzzo, accorse col restante dell’esercito a far argine ai Tedeschi; ma il pronto accorrere dei Collegati non valse a trattenerli, mentre essi piombarono sul Piacentino, non curandosi di Milano, già ridotto all’estrema indigenza, risoluti di passare al saccheggio di Firenze e di Roma. Quest’esempio eccitò ben presto un’egual brama nei soldati cesarei accampati nel Milanese: e l’estrema scarsezza dei viveri fra di noi fece nascere un generale fermento ne’ soldati, che attribuivano al papa i disagi e i mali che sofferivano, e costrinsero i comandanti a marciare con essi a quella vòlta925. Il Borbone, confidato il Milanese al Leyva, si pose alla loro testa. I soldati l’adoravano. Egli soleva dir loro: Figliuoli miei, sono un povero cavaliere, non ho un soldo, nè voi ne avete: faremo fortuna insieme. Una così impensata e potente irruzione di queste forze riunite costernò maggiormente l’animo di Clemente VII, sì che acconsentì ad una tregua di otto mesi coll’imperatore, stipulata coll’opera del vicerè Lannoy, luogotenente cesareo per l’Italia. Spedì allora il Lannoy incontro agli Imperiali coll’ordine di non inoltrarsi, atteso l’armistizio concluso, sotto pena d’infamia. Ma l’armata,