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il duca Francesco, rinchiuso nel castello di Milano già da sette mesi. Il duca d’Urbino, Francesco Maria, comandava le truppe de’ Veneziani, e Giovanni Medici le pontificie. Clemente VII però non volle comparire aggressore, e scrisse a Carlo V un breve, rammemorandogli le attenzioni che gli aveva usate, le ingiurie che da esso aveva sofferte, il mancare ai trattati, l’ambizione di conquistare l’Italia, e turbare la pace de’ cristiani, torti ch’egli attribuisce all’imperatore, dicendo che, dopo d’avere senza alcun profitto tentata ogni via per calmarlo, costretto, suo malgrado, a prendere le armi, attestava Dio che lo esortava a pensare a dar pace, ed ascoltare sentimenti più umani, e provvedere alla propria fama. Questo breve venne spedito al nunzio presso di Cesare, ch’era l’elegante prosatore e poeta Baldassare Castiglione. Tre giorni dopo il papa si pentì d’aver fatte delle accuse insussistenti, et alteram epistolam mittit aequiorem et moderatiorem perpaucis verbis in eamdem sententiam, sed calumniis ex parte sublatis918, acciocchè, se era in tempo, sopprimesse il primo breve e presentasse quest’ultimo; ma il Castiglione avea già eseguito il primo comando. L’imperatore pubblicò la lettera del papa e la risposta, la quale conteneva che non era stato superato dai benefizi del papa; anzi nulla aver fatto il papa che non contenesse l’utilità del papa istesso. Avere santamente osservato Cesare i trattati. Aver sempre operato per la tranquillità e la pace fra’ cristiani; non mai aver fatto la guerra se non provocato. Si maravigliava come il sommo pontefice facesse menzione di turbamento della pubblica pace, nel mentre ch’ei stesso, in mezzo alla quiete universale, aveva sollecitate le città e i principi cristiani alla guerra, e il re di Francia a violare i trattati e gli stessi giuramenti; la qual sorta di consigli non pareva si dovesse aspettare da quello che rappresenta il vicario di Cristo, autor della pace. Finalmente rispondeva che, se il papa brama la pace, ciò dipende da lui; lasci le armi che ha imbrandite a danno proprio e dei suoi, e l’imperatore si dichiara pronto ad ogni equa condizione di pace. Se poi, invece di voler la pace, persiste a promovere il disordine, l’imperatore se ne appella al futuro sacro ecumenico Concilio, e prega il sommo pontefice, in un tempo che lo rende necessario alla religione per le dissensioni teologiche, e alla repubblica cristiana per la sua tranquillità, a volerlo convocare; e ne lo prega in nome di Dio immortale. Che se ricusava d’ascoltarlo, Cesare, autorizzato dal rifiuto e dalle leggi, si sarebbe servito del suo potere per porre rimedio a tanti pubblici mali. Tale è il transunto del cesareo manifesto che allora venne pubblicato, e che si riferisce dal Sepulveda919.

Durante questo carteggio tra il papa e Carlo V, i Veneziani, comandati dal duca d’Urbino, presero Lodi per sorpresa, e con segreta intelligenza di Lodovico Vistarini, stipendiato cesareo, che tradì il suo padrone. I Pontificii a tale annunzio passarono il Po a Piacenza e