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e belle promesse il regalò, che a questa sua visita fu poi attribuita la di lui guarigione. È qui da notarsi col Guicciardini che Carlo V operò col suo prigioniero, come Ponzio Sannita co’ Romani alle Forche Caudine. Non l’oppresse nè lo trattò con generosità. Conveniva o lasciar libero il re Francesco colla generosità di un gran monarca, scortandolo con pompa ed onore sino a’ suoi confini, senza condizione alcuna e senza fasto insultante; ovvero conveniva tenerlo prigioniero, e frattanto invadere la Francia, staccarne porzione pel duca di Borbone, invitare Enrico VIII a staccarne altretanto; indi lasciare sul rimanente del regno un re liberato dalla prigionia e tributario dell’imperatore. Carlo V prese il partito di mezzo, che riuscì, come sempre, il peggiore. Vi fu chi gli consigliò il primo generoso spediente; ed il parere di quell’accorto politico fu ricusato come un’idea romanzesca dalla pluralità del consiglio di Stato. La condizione de’ monarchi è tale, che debbesi ascrivere a molta lode dell’imperatore Carlo V che avesse uno nel suo consiglio capace di pronunziare una tale opinione. In vece si ritenne prigioniero il re; ebbe questi a soffrirne due malattie, dovette sopportarne molte umiliazioni, sottoscrisse un trattato vergognoso, e a Carlo V non lasciò poi che una carta inutile, scritta da un inimico irreconciliabile. (1526) Nel giorno adunque 17 di gennaio (epilogherò questa grand’epoca colle succose parole del Muratori)910 dell’anno 1526, e non già di febbraio, come ha il Guicciardino e il Belcaire, suo gran copiatore, seguì in Madrid la