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palesare. Carlo V non ebbe torto diffidando del Pescara. Chi è capace di servire da sbirro, è capace di mancar di fede902. Il marchese di Pescara morì poi il 3 dicembre di quell’anno, di morte sospetta903. Il duca Francesco Sforza spedì a Novara il senatore Jacopo Filippo Sacco per ottenere la libertà del suo gran cancelliere, ch’egli dichiarava innocente verso l’imperatore; ma il Pescara fieramente rispose, che Morone era reo, e che reo era non meno Francesco Sforza. Datosi principio agli esami, nei quali, per via di tormenti, si venne in chiaro di ogni disegno de’ congiurati904; e poscia da Novara tradotto il Morone a Pavia, quivi in presenza del Pescara e del Leyva furono compiti i processi; la risultanza de’ quali fu che il Morone fosse condannato a perdere la testa. Nelle memorie manoscritte del Moroni trovasi l’apologia ch’ei fece di sè medesimo colla data del 25 di ottobre, undici giorni dopo la sua carcerazione. Mostra dapprima che, non essendo egli nè vassallo nè suddito all’imperatore, ma bensì del duca di Milano, non poteva riconoscere nel Pescara e nel Leyva veruna legittima giurisdizione sopra di sè. Poi, ricordando d’essere suddito non solo, ma gran cancelliere del duca, dichiara che senza una perfidia manifesta e una infame violazione de’ suoi doveri, ei non poteva svelare i segreti del suo naturale sovrano. In seguito espone un prospetto della vita propria e della condizione presente degli affari pubblici; e con tanta energia, con tanta evidenza si difese, che, giunto a morte il marchese di Pescara, ordinò nel testamento all’erede marchese del Vasto di supplicare Carlo V per la liberazione del Morone. Ma il tardo buon